domenica 27 gennaio 2013

La nostra crisi


Cito, non sempre rigorosamente (quando lo faccio metto le virgolette), un’interpretazione storica dell’età «contemporanea» presa dalla lettura di un capitolo (già di per sé breve) del testo di Corrao e Viola per comprendere, almeno in parte, la crisi che stiamo vivendo; o meglio, per cogliere le radici storiche di questa crisi globale e singola (relativa ad ogni Stato e Paese). Evidenzio prima di tutto i fattori della considerazione interpretativa dei due storici; rilevo però che l’esposizione è un quadro teorico molto sommario, quindi la mia parafrasi sarà ulteriormente sinottica. Il chiarimento fornito da Corrao e Viola non è esaustivo e ancor meno univoco (la storia non lo è mai per sua stessa natura), pertanto ogni elemento necessita di un approfondimento aggiuntivo.

I fattori della griglia teorica sono: 1. La massificazione; 2. Il trentennio delle due guerre mondiali; 3. Dopoguerra e guerra fredda; 4. Il ruolo dei grandi partiti di massa; 5. La rinegoziazione e gli organismi internazionali e sovranazionali.


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La massificazione è iniziata con la cosiddetta «rivoluzione borgese», concetto che comprende in sé due rivoluzioni che costituiscono convenzionalmente il passaggio tra due epoche che definiamo «moderna» e «contemporanea»: la prima rivoluzione è contraddistinta come sociale-industriale (1769), la seconda, invece, politico-istituzionale (1789). Le masse divengono delle vere protagoniste della storia contemporanea con l'introduzione dei «partiti-macchina» o «partiti di massa», quindi con la partecipazione politica resa possibile dal suffragio universale maschile (prodotto della «rivoluzione francese»), e con la loro integrazione nel mondo del lavoro dell'industria pesante (prodotto della «rivoluzione industriale») e, in aggiunta, con il loro coinvolgimento nella sindacalizzazione. Nasce così il mondo massificato caratteristico della fine dell’Ottocento, dovuto, dunque, al progresso borghese, all’arricchimento generalizzato e alla conquista della libertà e uguaglianza sociale (lavoro) e politica, che ha provocato, però, un’alterazione (già prima della prima guerra mondiale) delle regole liberali che garantiscono il pluralismo. La massa rivela il suo pervasivo ruolo “degenerante” [lo aggiungo io] nella democrazia in quanto totalità non diversificata. Non siamo tutti uguali se non di fronte alla legge [concetto ancora oggi non chiaro].

Le barbarie e le follie dei totalitarismi (nazi-fascista e comunista) e il trentennio delle due guerre mondiali hanno interrotto bruscamente l'immagine positiva del progresso ottocentesco verso cui tendeva l'umanità. I primi tre quarti del Novecento sono stati caratterizzati dall’abbandono delle tendenze globalizzatrici e liberiste del mercato (conseguenza anche del folle trentennio del secolo). Preferendo, invece, la tutela da parte dei governi del profitto allo scopo di far «vivere e mobilitare la popolazione». Il forte controllo politico dell’economia (flussi di beni, servizi e capitali) è rafforzato dalle banche centrali in un regime inflessibile di controllo istituzionale. La massa è al centro del fallimento della leadership europea sul mondo; quella stessa supremazia che vantava di aver creato 1. la libertà del mercato, 2. la democrazia liberale e 3. le strutture statuali («le tre armi» messe a punto dall’Europa moderna). L’invenzione del welfare state; la pratica di pianificazione economica (politiche economiche degli Stati); i vincoli al movimento dei capitali; il controllo della moneta; e le produzioni considerate «strategiche» sono poste sotto il controllo pubblico. Tutti questi fattori assieme ai rapporti con le forze sindacali, alla pratica della «concertazione», al controllo dei flussi elettorali per condizionare la sovranità hanno alterato definitivamente le regole dello Stato liberale e limitato il mercato.

Nella consapevolezza della frattura profonda avvenuta (i totalitarismi, le guerre mondiali e i dopoguerra hanno provocato il disequilibrio del capitalismo, del pluralismo democratico e delle istituzioni statali) all'idea liberista e democratica, e perciò alla stessa idea di progresso o “evoluzione”; e, inoltre, nella stessa coscienza che la decolonizzazione dava luogo a barbarie e a guerre civili; che il pianeta è stato danneggiato e che le sue risorse sono limitate (anni '70); e che, negli stessi anni Settanta, la guerra fredda si concludeva con la crisi del comunismo sovietico (questi sono gli anni che gli storici interpretano come uno spartiacque tra l'età «contemporanea» e quella «presente», nella quale viviamo, pensiamo e agiamo), insomma, in tutta questa consapevolezza, l'Europa si è trovata nella posizione di rinegoziare il potere e, quindi, i rapporti economici, politici e istituzionali con il mondo.

Le tre grandi peculiarità europee (economia di mercato, democrazia e Stato) non sono più tali, e subiscono nel Novecento andamenti di crisi (ad es., il grande crollo del 1929) e ripresa con connotati differenti e contraddittori rispetto a come erano stati pensati originariamente dal liberalismo e liberismo. Gli ultimi trent’anni della nostra storia segnano, invece, drasticamente la loro crisi. Un primo effetto è che «oggi la ricchezza cresce spesso incontrollata e senza libertà». Un secondo esito, strettamente legato al primo, è l’evidente «ipertrofia» degli Stati. Dalla legittimazione dello Stato in quanto garante (anche con l’uso della forza) e monopolista del disciplinamento e dell’ordine politico-istituzionale, economico (in molti casi lo Stato operava come antagonista del mercato) e sociale (e in molti altri casi esso rappresentava un pericolo per la libertà), allo Stato che si è «ripiegato su se stesso». Le sue proprie funzioni sono state affidate ai grandi organismi internazionali e sovranazionali (ad es. Onu, Bce, ecc.) dove si stipulano accordi laterali e multilaterali, i cui negoziati avvengono sempre a livello intergovernativo. Ciò significa che la sovranità di ogni Paese e Stato non possiede più il controllo democratico e la responsabilità politica, economica e sociale non è immediatamente determinabile.

È possibile rintracciare l’insieme delle cause di questo stato di cose nel concetto (con forte valenza pratica) di rinegoziazione. L’esplosiva crescita demografica mondiale (da 1,5 a 6 miliardi), avvenuta soltanto in un secolo, necessita della rinegoziazione degli spazi (lavoro, mercato, risorse), ed essa avviene tramite gli organismi suddetti, ciò comporta anche, oltre ad una serie di gravi conseguenze, forti conflitti etnici: cospicue masse migrano in territori che si pensa possano assicurare dignità e una qualche ricchezza (innanzi tutto per la sopravvivenza).

CORRAO, Pietro - VIOLA, Paolo, Introduzione agli studi di storia, Donzelli, Roma, 2005, Cap. VIII, pp. 109-29
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Se dobbiamo porci la domanda «da dove veniamo?» per tentare anche di tracciare una possibile strada della seconda domanda «dove andiamo?», questo quadro storico del Novecento concisamente chiarisce un po’ le idee. Il risultato è lo stato attuale: una profonda e globale crisi politica, economica e sociale, alla quale si aggiungono anche, con le peculiarità identitarie e politiche di ogni Stato, crisi interne più o meno complesse e difficili da superare e soprattutto da interpretare. Concludo citando un’idea probabilista dei due storici e sulla quale convengo da liberale e liberista: «Forse il mercato non chiede regole né disciplina. Forse la sua libertà non ha niente a che fare con la libertà politica. Forse le istituzioni lo intralciano. O comunque queste correlazioni sono da rivedere, e si presentano sotto forme nuove, da affrontare con strumenti culturali diversi».

Forse davvero dovremmo riflettere sul problema della discriminazione tra libertà politica e libertà economica. E tuttavia nessuna delle due, oggi come oggi, le possediamo; e forse non le possediamo proprio perché dovremmo analizzare maggiormente nella sua generalità il concetto di libertà. Il ritorno ad una valutazione profonda del patrimonio intellettuale e storico raggiunto dall’uomo fino alla prima metà dell’Ottocento è essenziale per leggere e cogliere gli errori gravissimi che abbiamo commesso (le strade mancate e quelle intraprese ma fallite tragicamente in due guerre suicide e in totalitarismi devastanti per l’uomo). Questo è il peso e il tormento maggiore che portiamo sulle spalle oggi, ma è anche la causa complessa e terribile che ci fa essere quello che siamo e vivere come viviamo; e soprattutto che ci pone con forza davanti agli occhi la realtà della nostra crisi di uomini non liberi e non conclusi (questo Novecento ha lasciato aperto e in sospeso ancora molto).

2 commenti:

  1. Bello anche se sintetico

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    1. :) sì, sintetico e osservato da un solo punto di vista, quello politico-economico. La realtà è molto più complessa, ma m'interessava cogliere l'importanza del concetto e principio della libertà.

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